Presidente, cari colleghi, abbiamo una sentenza della Corte che ci ha invitato a intervenire nell'interesse anzitutto delle persone più fragili, più deboli, in difficoltà, che non possono essere lasciate in balia dell'incertezza. Questo è il motivo per cui siamo qui oggi, questo è il motivo per cui c'è stata una lunga gestazione nelle Commissioni congiunte per questa proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita. Una legge che tocca un tema delicatissimo, rilevante; che tocca la coscienza di ciascuno di noi, senza distinzioni; che lambisce sensibilità diverse e che sarebbe riduttivo, fuorviante, ridurre ad una contrapposizione tra i fautori della vita e i fautori della morte (siamo tutti a favore della vita), e, ancora peggio, a una contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra.
Al centro di questa discussione, per una volta, cerchiamo di non metterci noi, il nostro punto di vista; al centro di questa discussione sta il dovere di rispondere, con un quadro legislativo certo, a delle persone in carne e ossa, in condizioni particolari, che non possono essere sottoposte a variabilità di giudizi da parte di giudici diversi. Lo sforzo della legge è quindi quello di garantire innanzitutto, come ci ha chiamato a fare la Corte, il bilanciamento tra esigenze costituzionali diverse; esigenze costituzionali che tutti noi, qui, in quest'Aula, condividiamo. Ed è stato bello e positivo che nella discussione queste esigenze siano state sottolineate da tutti, indifferentemente. Le condividiamo con i critici della legge, sia coloro che la ritengono eccessivamente restrittiva sia coloro che, al contrario, la ritengono l'inizio di una deriva cosiddetta eutanasica o il segno di una cultura dello scarto. In primo luogo, il primo diritto è quello che la Corte stessa ha citato nelle motivazioni di rigetto del referendum sull'eutanasia, e cioè la necessità di preservare la tutela minima necessaria della vita umana in generale, con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.
La nostra democrazia, la nostra società, la nostra comunità civile si fonda sul diritto alla vita come primo dei diritti inviolabili dell'uomo; un diritto che va sempre tutelato, senza distinzioni tra persone, senza classifiche di qualità della vita, anche e soprattutto quando le persone sono in difficoltà, quando soffrono. Non c'è una vita degna di essere vissuta a seconda del luogo dove si abita o a seconda della condizione che si vive. La vita è sempre preziosa e noi sempre scegliamo la vita; e la scelta della vita come bene primario è anche la scelta della vita come bene non disponibile per gli altri. La nostra vita non è mai disponibile alle decisioni di altri, ed è questo anche il motivo per cui siamo così fortemente contrari alla guerra, perché ci toglie il bene più prezioso che abbiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ma il diritto alla vita va bilanciato con un altro principio costituzionale, che è quello della libertà e dell'autodeterminazione delle persone. La nostra Costituzione, lo sapete, è fondata sul personalismo comunitario, non riconosce il primato dello Stato e non riconosce il primato dell'individuo, cerca una conciliazione, rifugge da un concetto della libertà individuale senza limiti e riserve, ma esiste, però, la libertà del rifiuto ai trattamenti sanitari, esiste anche la libertà nell'autodeterminazione delle scelte terapeutiche, come abbiamo già sancito con una legge avanzatissima, che io ritengo sia la legge n. 219, sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. L'incrocio di questi valori di primario rilievo costituzionale richiede scelte immediate - ci ha detto la Corte - che il legislatore è chiamato a compiere e, di nuovo, in assenza della nostra legge, la sentenza n. 242 ha riconosciuto illegittimo l'articolo 580 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio in certe condizioni. Quindi, la punibilità dell'aiuto al suicidio non esiste già più, è questo il punto da cui partire, altrimenti non ci capiamo. Dobbiamo partire da qui, perché la Corte ci invita ad esprimere un quadro legislativo che sia di garanzia della dignità umana, oltre che dei principi di uguaglianza, in rapporto alle condizioni. E, quindi, dal caso di dj Fabo, prende corpo un nuovo bilanciamento di questi due principi, di libertà e di difesa della vita, e se non teniamo presente quel caso e la condizione di vuoto legislativo in cui siamo messi, nulla diviene più comprensibile. Per questo, la polemica sull'inclusione, nell'articolo 1, della condizione irreversibile è incomprensibile: l'articolo 1 include una condizione irreversibile esattamente perché questa legge nasce dalla sentenza della Corte, che nasce da quel caso.
Quindi, la domanda che ci dobbiamo porre è se la legge risponde in maniera adeguata alle condizioni indicate dalla Corte. Questa è la domanda che dobbiamo porci: la legge poteva escludere la casistica che ha dato origine alla sentenza? La risposta è “no”, non potevamo escludere la condizione irreversibile, altrimenti avremmo creato un doppio binario, di nuovo, avremmo creato di nuovo un'interpretazione di ogni giudice su casistiche di quel tipo e la legge avrebbe disciplinata una casistica totalmente diversa e, quindi, avremmo escluso proprio i casi da cui la sentenza trae origine. Questo apre a un accesso indiscriminato? I disabili, i non autosufficienti, possono tutti accedere alla legge? La risposta è, ovviamente, “no”. C'è una deriva eutanasica? La risposta è, ovviamente, “no” per chi legge la legge.
Vorrei che leggessimo insieme le condizioni che devono coesistere e che vanno accertate, leggiamole insieme: la patologia irreversibile e a prognosi infausta o la condizione clinica irreversibile, le sofferenze fisiche e psichiche intollerabili, i trattamenti sanitari di sostegno vitale. E leggiamo anche i prerequisiti: la piena capacità, una libera scelta di assumere decisioni libere e consapevoli, il pieno coinvolgimento in un percorso di cure palliative, di terapie del dolore. Dall'insieme di queste condizioni, comprendiamo bene il primato della vita o la difesa della vita. Come alcuni amici hanno ripetutamente richiamato in quest'Aula, lo Stato è dalla parte della vita o della morte? Lo Stato è dalla parte della vita, anche con questa legge, soprattutto con questa legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
È chiaro che ognuna di queste condizioni può essere criticata, è evidente. La libera scelta non è libera - sono d'accordo -, se non viene garantito il trattamento del dolore adeguato e se non vi è il percorso delle cure palliative: ma questo è il motivo per cui ci siamo così impegnati, anche recentemente, per rafforzare la legge sulle cure palliative. La libera scelta non è libera, se non vi è la vicinanza, la cura, l'amorevole cura dei familiari, il sostegno alle famiglie: ma questo è il motivo per cui, nell'articolo 2, noi diciamo che il Sistema sanitario si deve ispirare e deve garantire un adeguato sostegno sanitario, psicologico e socioassistenziale alla persona malata e alla famiglia. Lo scriviamo in questa legge, lo scriviamo, lo rafforziamo. Dobbiamo stare accanto a chi soffre. La nostra discussione - e questo è un fatto positivo - ha unanimemente rafforzato l'idea che il Sistema sanitario debba essere più forte, più vicino, che il sistema delle cure palliative sia rinforzato, che il Sistema sanitario sia capace di stare vicino alle persone e le distinzioni sono state minori rispetto ai punti di unione.
Cari colleghi, ci avviciniamo a questo argomento, lo dico senza pretese di dare lezioni e, se qualcheduno ha usato dei toni eccessivamente assertivi in un argomento del genere, credo abbia sbagliato. Conosciamo i limiti delle nostre valutazioni, li conosciamo tutti, conosciamo anche - permettetemi di dire da ricercatore e da medico - i limiti della scienza, della scienza medica, che non può e non deve essere delegata a discutere di morte. La morte, il problema della morte non è un problema per i professionisti della medicina, è un problema che riguarda tutti noi, che riguarda le nostre vite. A questa discussione siamo tutti titolati ad intervenire, ma io credo che dobbiamo ricordarci che a questa discussione siano, soprattutto, titolate ad intervenire le persone che soffrono, le persone che vivono il dolore e che non sia possibile giudicare il loro comportamento e le loro libere scelte oltre un certo limite. Noi siamo convocati da loro a discutere di questi argomenti.
La questione riguarda la morte e la libertà di una persona di lasciarsi morire: questa è la questione di cui abbiamo e stiamo discutendo. È chiaro, ogni persona che sceglie di morire è una sconfitta per tutti noi, è una sconfitta per la comunità e dobbiamo fare di tutto perché la disperazione e l'angoscia non prendano il sopravvento sulla speranza. È così, non possiamo arrogarci mai il diritto di far morire delle persone, in nessun caso, ma possiamo scegliere di lasciare morire dignitosamente una persona esattamente come ognuno di noi, in quest'Aula, può decidere di fare. Ognuno di noi ha questa libertà in quest'Aula.
Per questi motivi, per questa capacità di tenere insieme queste due primarie indicazioni costituzionali della libertà di scelta e della difesa della vita, per questa capacità di rispondere a condizioni in carne e ossa di uomini e donne che soffrono, per questi motivi questa legge è una buona legge, è una legge che rappresenta un passo in avanti. E per questi motivi, io credo che la nostra discussione abbia aiutato oggi anche la dignità del Parlamento a non girarsi dall'altra parte a fronte di sofferenze così gravi e che non hanno, fino ad oggi, trovato risposta legislativa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).